LE NOSTRE INTERVISTE. A TRE ANNI RIFERISCE “ATTENZIONI PARTICOLARI” DA PARTE DEL PADRE

21 Aprile 2020 | Redazione

di Marzia Lazzerini Giornalista

Denunciato dalla madre, il bambino è ora collocato nella casa paterna a 800 chilometri di distanza dalla figura materna. “Con il lockdown non posso vedere mio figlio”

Un’altra storia che ci racconta di una violenza istituzionale compiuta ai danni di una donna, ora disperata, distante 800 chilometri dal proprio figlio, e oggi in tempi di lockdown impossibilitata ad incontrarlo, dove a pagarne le conseguenze maggiori, come sempre, sono i bambini. Il minore in questione, che oggi ha 6 anni, aveva riferito quando aveva tre anni ed in maniera del tutto spontanea di essere stato oggetto di “attenzioni particolari” e di atteggiamenti ambigui sul proprio corpo da parte del padre. Già in corso di separazione la madre allarmata dalle parole del figlio sporge denuncia che verrà archiviata, senza nemmeno essere presa in considerazione. Dopo altre vicende giudiziarie il bambino verrà collocato definitivamente nella casa paterna, sradicandolo dalla madre e dal luogo dove negli ultimi anni aveva vissuto: verrà trasferito da una regione del Sud Italia alla Sardegna con a carico della donna le spese di viaggio se vuole vederlo due volte al mese.

Ma cerchiamo di capire cosa effettivamente ha portato a questa conclusione da parte dei giudici, che si sono serviti, come ovvio che sia, di consulenti tecnici quali medici e psicologi. Il caso è stato segnalato all’Associazione Maison Antigone che si è subito attivata per conoscere i fatti. La vicenda, come spesso accade, nasce da una separazione violenta, da giudizi di non saper gestire i figli o da richieste che si appellano al diritto alla bigenitorialità. Tuttavia in questa vicenda compaiono elementi più gravi.

Innanzitutto avviene il passaggio di competenza territoriale, e di tutti gli atti, dal tribunale del luogo in cui risiede la donna, inizialmente investito della causa, al tribunale della regione nella quale risiede il marito. In quel contesto processuale viene nominato dal giudice un consulente tecnico d’ufficio per valutare la capacità di entrambi i genitori.

Nella sua relazione tecnica, e da altra documentazione esaminata, si parla di un padre che abusa di sostanze stupefacenti e di alcool e che potrebbe aver maltrattato e violato sessualmente il bambino che riporta, come già detto, di essere stato oggetto di “attenzioni particolari”, mentre la madre in un esposto racconta: “il bambino mi infilò la lingua in bocca come un uomo che mi da un bacio dicendomi di non preoccuparmi perché mi stava dando solo dei baci come faceva il padre con lui, poi pianse perché aveva rivelato un segreto tra lui e il padre”. Durante tutta la CTU, ovvero nella relazione tecnica, vengono ignorati anche altri elementi. Per esempio, alla luce delle dichiarazioni e delle denunce della donna si erano già attivati i servizi sociali ed il tribunale del luogo di residenza, e quando viene concesso dal giudice che il bambino possa trascorrere un week end con il padre viene allo stesso tempo accordato alla madre il potere di decidere in autonomia circa le visite paterne, visto che le indagini sulla presunta violenza non sono ancora concluse. La certezza invece è la presa in carico della donna in un centro antiviolenza dal 2017 al 2018 ma che, sempre nella consulenza depositata al giudice viene definita come una banale depressione. Infatti quando tutta la documentazione, come detto, passa da un tribunale all’altro sembra che nulla di quanto fatto in precedenza venga analizzato dai magistrati. Le denunce della donna vengono archiviate ed in CTU non viene minimamente accertato o approfondito l’uso di sostanze stupefacenti da parte del padre del bambino e addirittura un consulente di parte della donna viene denunciato al proprio Ordine Professionale di appartenenza per aver sottolineato questi aspetti.

Viene invece scandagliata la vita passata della donna: tutto viene analizzato nei minimi particolari, dal cambio di università all’allattamento al seno, considerato come una pratica svolta fino ad  età troppo elevata del bambino.

“Il parere del consulente tecnico d’ufficio, ricordiamo, è un accertamento tecnico di ausilio al giudice per la sua decisione. In questo caso, tale accertamento appare viziato, anziché totalmente oggettivo, da giudizi che non sono utili al benessere del bambino e invece mettono in cattiva luce esclusivamente la figura materna aderendo, sembrerebbe, a quel concetto ascientifico denominato alienazione genitoriale e che viene utilizzato normalmente al fine di insabbiare le violenze denunciate da una donna” dichiara l’Avv. Simona D’Aquilio.

La Presidente dell’associazione Maison Antigone, Avv. Michela Nacca aggiunge che “nei tribunali italiani sembra sia ormai diffuso l’uso di dare per scontata e presente a prescindere la capacità genitoriale paterna, che però non viene indagata, a volte neppure dinanzi a rinvii a giudizio o con plurime condanne definitive per maltrattamenti in famiglia. Viceversa, dalla lettura di centinaia di consulenze, constatiamo che viene messa in discussione sempre e solo la capacità genitoriale materna. Sembrerebbe addirittura che ci sia un ribaltamento dei parametri nella psicologia giuridica, non valutando più le capacità empatiche, affettive e pedagogiche della madre ma valutando piuttosto le capacità di far accettare al figlio minore il rischio e talvolta la condannata per violenza paterna”

Da alcuni studi provenienti da filoni medici statunitensi, Richard Gardner e la sua  “junk science” (scienza spazzatura) così definita dal Professor Paul Fink, viene infatti considerata più pericolosa ed inadeguata una madre protettiva che denuncia le violenze sul figlio anziché un padre condannato per violenze o abusi.

“Non è un caso – avverte l’Avv. Nacca – se ad oggi, nelle università italiane, le idee ed il nome di Richard A. Gardner vengono insegnate e diffuse tra i futuri psicologi, assistenti sociali e consulenti tecnici che opereranno nei tribunali”.

A conclusione della vicenda il bambino viene strappato all’affetto della madre per essere collocato presso il padre, con grande limitazione della relazione genitoriale materna, e sembra che ancora una volta chi ne esce veramente punito sia solo ed esclusivamente il figlio.

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