Cinema: Storia di un matrimonio, la banalita’ di un amore che finisce ma non muore.

10 Febbraio 2020 | Redazione

di S. D’Aquilio

4–5 minuti


Uscito lo scorso novembre, ho visto questo bellissimo film solo di recente su Netflix.

La storia è la più comune che si possa immaginare: Nicole (Scarlett Johansson) e Charlie (Adam Driver) non riescono più a stare insieme.

Sposatisi molto giovani, con la comune passione per la recitazione, inizialmente investono energie e denaro nel progetto teatrale di lui, giovane ed emergente regista, hanno un figlio e tutto sembra filare per il meglio finché Nicole non inizia a pensare con la propria testa, rimuginando su cosa sia diventata la propria vita e cosa avrebbe voluto fosse.

Come spesso accade, nelle separazioni, è lei che da la spinta verso la fine. È lei quella che si rende conto per prima del soffocamento che sta vivendo il suo matrimonio, fra routine e insoddisfazioni forse anche reciproche ma inespresse.

Come in molte separazioni, la causa del crollo è solo apparentemente un tradimento ma, in realtà, quello è solo la goccia che fa traboccare un vaso già colmo.

Non era semplice non scadere nei clichés di films già girati sull’argomento separazione ma il regista, Noah Baumbach, ci riesce perfettamente. La pellicola è densa, profonda e piena di scene toccanti in modo che definirei subliminale: Baumbach riesce a colpire emotivamente anche spettatori come me, avvezzi a gestire separazioni e divorzi a volte molto cruenti. Confesso che almeno in due scene, apparentemente normali, le lacrime hanno iniziato a scorrere sul mio viso lasciandomi basita.

Il regista riesce a renderci perfettamente imparziali, in questo dramma familiare: non è possibile stare completamente da una parte o dall’altra perché entrambi i protagonisti fanno una pena infinita. Anche Nicole, che pare essere la più risoluta e determinata, la più fredda dei due, svela tutto il proprio dolore nel rabbioso dialogo con Charlie e che rappresenta un momento topico del film: un’interpretazione davvero profonda e toccante nella quale gli attori raggiungono livelli molto elevati e che mi hanno ricordato lo stile del buon vecchio Ingmar Bergman.

Una menzione particolare va ai personaggi degli avvocati della coppia, ovviamente. Parliamo del sistema americano, dove i divorzi hanno dei costi davvero esorbitanti (l’avvocato che sceglie Charlie costa 950 dollari l’ora!) e dove le strategie difensive arrivano a ferire profondamente i malcapitati, senza esclusione di colpi. Così, un divorzio che avrebbe dovuto essere gestito con calma e cercando una soluzione condivisa, diventa una piccola guerra di potere fra i due avvocati di Charlie e Nicole, i quali restano letteralmente inghiottiti dal meccanismo che hanno messo in moto.

Intorno ai protagonisti, ruota la famiglia di lei (bellissimo il personaggio della mamma, interpretato dalla indimenticata Julie Hagerty) e la compagnia teatrale di Charlie con la quale lavora anche Nicole: una seconda famiglia che non riesce a rassegnarsi alla fine del loro matrimonio. Fine che pare proprio non coincidere con la fine completa del loro amore, però.

È un film imperdibile, questo piccolo capolavoro. Di una semplicità disarmante ma di una profondità unica, fa riflettere molto sul matrimonio e sulle ambizioni personali, spesso lasciate morire in nome di un fuorviante ed illusorio concetto di famiglia.

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